TOMMASO CAMPANELLA

Una delle principali vie del nostro paese è dedicata al filosofo e Domenicano Tommaso Campanella e questo, non so o Per rendere omaggio ad un grande calabrese, ma anche perché, proprio a Pizzoni nel 1599, nel convento di San Basilio, insieme ad altri suoi seguaci, organizzò la famosa congiura contro il dominio degli Spagnoli che segnò profondamente il suo destino.
Egli nacque a Stilo il 5 Settembre 1568, e gli fu imposto il nome Giovan Domenico.
Entrò giovanissimo nel convento dei Domenicani, dedicandosi con profitto agli studi e divenendo frate con il Si appassionò moltissimo alla lettura e quando non era occupato dalle funzioni religiose dedicava il suo tempo ai libri dimostrando interesse ad ogni argomento, compreso quello della superstizione.
Dopo questo primo periodo trascorso in Calabria, nel 1589 si recò a Napoli per approfondire le sue conoscenze e pubblicò la sua prima opera filosofica nella quale difendeva le nuove teorie di Telesio, mettendosi contro gli accaniti sostenitori di Aristotele e, quindi, contro la stessa Quest’opera, che mise in discussione consolidate teorie filosofiche e religiose, venne pubblicata in un momento particolare per la Chiesa Cattolica. Era, infatti, il periodo dell’Inquisizione, cioè quell’organizzazione giudiziaria-ecclesiastica che aveva il compito di esprimere e condannare qualsiasi torma di eresia. I’er questo motivo Tommaso Campanella venne accusato proprio di eresia e di pratiche demoniache e condannato ” ritornare in Calabria ed abbandonare le teorie filosofiche di Telesio.

Egli però si ribellò alla sentenza e si recò, invece, a Padova dove aveva maggior possibilità di discutere, di leggere e di approfondire il proprio sapere. Anche se ancora giovane, in quel periodo era già famoso e veniva considerato uno dei pochi ingegni in circolazione. Proprio a Padova incontrò Galileo Galilei e tra i due nacque una reciproca stima ed amicizia che durò per tutta la vita. Nel I593 per il solo fatto di aver discusso con un ebreo, venne arrestato e torturato. Tentò la fuga che però non riuscì e, quindi, fu trasfe­rito nelle carceri deUa Santa Inquisizione di Roma. Venne torturato e costretto a rinnegare le proprie idee, cosi riuscirà ad ottenere la libertà ma fu confinato in un convento dell’Aventino.
Nello stesso anno un bandito di Stilo lo accusò di essere un nemico della religione Cattolica, venne, pertanto, nuovamente arrestato ma non condannato perché ritenuto innocente. Fu obbligato però, a tornare definitivamente in Calabria e venne proibita la lettura dei suoi libri. In tutte queste disavventure trovò sempre B tempo per dedicarsi allo studio, a scrivere nuove opere e poesie ed a discutere con tutti il suo pensiero filosofico. Divenne fermamente convinto che per il bene del mondo era necessaria una repubblica Santa ed Universale con a capo proprio lui.
Secondo questa convinzione la fine del mondo era vicina na ed entro il secolo si sarebbe formata una nuova società di uomini liberi ed uguali senza oppressi ed oppressori. In Calabria si prodigò moltissimo a diffondere queste idee e trovò subito consensi e proseliti specialmente tra la povera gente sottomessa dal regime spagnolo.

Tommaso Campanella maturò cosi l’idea che era tempo ormai di agire e ribellarsi senza esitazioni. Si schierarono dalla sua parte molti Vescovi, diverse città e numerosi paesi, nonché i monaci appartenenti al suo stesso ordine e tantissimi briganti, tutti pronti ed entusiasti a sostenere la rivoluzione. Andò in giro per tutta la Calabria per incitare la  popolazione contro i potenti, responsabili della miseria, dei soprusi e delle tasse, promettendo un immediato riscatto. Nel mese di Giugno del 1599, in giro per questa missione, giunse ad Arena dove venne accolto ed ospitato dall’allora feudatario Marchese Scipione Conclubeth. Li fissò la sua dimora spostandosi nei paesi della zona a predicare e spiegare la sua verità ed il suo progetto di insurrezione. Il frate Domenicano Giovanni Battista Cortese da Pizzoni,
vicario del convento di San Basilio, si uni subito a Tommaso Campanella e dallo stesso venne mandato l’8 Luglio nel nostro paese a contattare il famoso fuoriuscito Morano Claudio Crispo.
Contemporaneamente mandò a Soriano il suo vecchio amico di convento fra Dionigio Ponzio a convincere della sua causa, tale Giulio Soldaniero il quale, macchiatosi di ben tre delitti, si era rifugiato dai frati Domenicani per avere protezione e sfuggire, quindi, alla Legge. Due giorni dopo il Cortese tornò con il Crispo convinto ed entusiasmato dalle idee del Campanella; Dionigio Ponzio, invece, nonostante fosse rimasto quattro giorni nel Convento di Soriano, non riuscì a convincere il Soldaniero. Tutto questo perché, essendo stato ucciso tempo addietro un fratello del Ponzio, questi accusò di tale omicidio il potente fra Giovanni Battista Polistena che poi, processato, venne assolto e, dati i buoni rapporti tra quest’ultimo ed i Domenicani di Soriano, il Soldaniero pensò bene di non
accettare la proposta del frate Ponzio, per evitare eventuali Successivamente i Domenicani vennero a conoscenza del
comportamento del loro protetto e ne condivisero il suo rifiuto. Questo spiega perché i frati Domenicani di Soriano furono estranei al piano di Tommaso Campanella e dimostra, altresì come fu sprovveduto il filosofo nel mandare l’uomo sbagliato al posto giusto.
Deluso per il mancato appoggio del Soldaniero, consapevole del clima ostile che si era creato tra i religiosi di Soriano ma determinato a portare fino in fondo il suo progetto, verso la fime di luglio, si recò nel Convento di San Basilio assieme ai suoi uomini di fiducia per preparare il famoso piano di rivolta.
Qui rimasero chiusi sei giorni e definirono nei dettagli quella che fu “la congiura di Campanella” e per renderla più “solenne” tutti i partecipanti, oltre 35 tra religiosi e non, si vestirono alla stessa maniera, indossando ciascuno una tunica bianca lunga fino alle ginocchia ed un copricapo alla turca. Fissati i termini della rivolta, Campanella ed i suoi seguaci tornarono nei rispettivi luoghi di provenienza, pronti ad entrare in azione al momento opportuno. Nel Convento restarono soltanto Giovanni Battista Cortese ed il suo compagno Laureana, ai quali si aggiunsero, successivamente, Dionigio ponzio e Giovanni Tommaso Caccia. Ma la congiura venne scoperta ed all’alba del quattro settembre 1599 tale Carlo di Paola, al comando di un gruppo di soldati, si presentò sotto il Convento per arrestare gli insorti con il pretesto di far riposare i suoi uomini, di passaggio per Squillace. Frate Cortese, insospettito, si mise a suonare le campane, per avvertire gli abitanti del paese che, allertati accorsero numerosissimi. Carlo di Paola assicurò quella gente circa le sue buone intenzioni e, per essere più credibile, costrinse il frate Cortese a celebrare messa che tutti inseime ascoltarono. Nel frattempo frate Dionigio Ponzio, resosi conto del pericolo, riuscì travestito, a dileguarsi tra la folla. Finita la messa e allontanatasi la popolazione ignara di quanto stava avvenendo, il Cortese ed il l.aureana furono arrestati e tradotti a Monteleone per essere interrogati; Caccia riusciva, invece, a farla franca grazie ai suoi buoni rapporti con il comandante Carlo di Paola. Entrambi i frati non ressero alla tortura cui furono sottoposti ed accusarono il loro maestro di eresia e stregoneria e, separatamente, l’uno accusò l’altro di complicità.
Il sei Settembre, tradito da un amico, Tommaso Campanella fu catturato assieme al padre a Roccella; in conseguenza di ciò anche molti nobili che prima stavano dalla sua parte fecero altrettanto ed in pochi giorni vennero arrestati centinaia di seguaci.
Svaniva cosi il sogno “di fare di ogni Calabrese un uomo, cioè libero e non schiavo” Iniziarono i vari processi Ecclesiastici in diverse città calabresi dove vennero torturati e condannati centinaia di congiurati. Tra questi, Giovanni Tommaso Caccia che non era stato arrestato prima nel Convento di San Basilio, Giovanni Battista Cortese, Dionigio Ponzio e Morano Claudio Crispo che successivamente venne giustiziato a Catanzaro. Per poter instaurare il processo contro Tommaso Campanella era necessario che ci fosse una denuncia. Il vecchio nemico, frate Giovanni Battista Polistena, non aspettava altro per vendicarsi, si recò nel convento di
tese a celebrare messa che tutti insieme ascoltarono.

Soriano e costrinse il Soldaniero ad accusare di cospirazione ed eresia il Campanella ed indusse, dietro la promessa di danaro, i due congiurati Fabio Di Lauro e Giovanni Biblia da Catanzaro a denunciarlo al viceré Ferrante Ruiz De Castro, Conte di Lemos.
Al processo Ecclesiastico che si svolse in Calabria i giudici che lo condannarono erano tutti amici del Polistena, compreso il Soldaniero che, successivamente, per le sue false accuse ottenne la libertà. Nonostante la richiesta del Sant’Uffizio che voleva pro­cessarlo a Roma, il Campanella fu trasferito il 18 gennaio del 1600 assieme agli altri congiurati a Napoli per essere prima sottoposto al processo politico con l’accusa di cospirazione contro il re.
Con molta abilità ed astuzia, nonostante le numerose torture, si finse pazzo ed evitò, cosi, di essere condannato e venne, quindi, consegnato, al poter ecclesiastico. Il 17 maggio inizia il processo per eresia e stregoneria e qui le torture per indurlo alla confessione furono continue ed atroci, compresa quella, tremendamente nota, detta “veglia”. Anche in questo caso Tommaso Campanella, dimostrando eccezionali doti di resistenza al dolore, riuscì a convincere il tribunale religioso della sua pazzia; evitò, così la pena di morte e venne condannato al carcere a vita l’8 febbraio 1603. Sia durante i processi, nonché durante il periodo di detenzione non ha mai smesso di studiare e scrivere. Le sue opere, prettamente filosofiche, furono moltissime e tra queste, il suo capolavoro, “La città del sole” in cui descrive come deve essere la “sua” repubblica che rende felid tutti gli uomini.
Rilasciato dal governo spagnolo il 23 maggio 1626, tornò in Calabria nel convento che lo vide chierichetto. Il mese successivo venne arrestato dal potere ecclesiastico e rimase in carcere fino a quando Papa Urbano VIII, 11 gennaio 1629, non gli diede la definitiva libertà. Si stabili a Napoli ma temendo di essere estradato, a seguito di una congiura antispagnola, si rifugiò in Francia dove mori il 21  maggio 1639.